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Sinistra Italiana - Palo del Colle

blog politico

Acqua: da bene comune a merce. Raccolte a Palo 1720 firme per i referendum proposto dal Forum AcquaBeneComune

Pubblicato su 22 Agosto 2010 da Giovanna Cutrone in referendum

acqua 3Affermare il diritto dell’acqua come un diritto naturale è l’impegno che noi di sel-LAB abbiamo sentito il dovere di prendere, in linea con la posizione di Sinistra Ecologia e Libertà. Abbiamo aderito in primis al comitato cittadino dedicando molto tempo sia alla raccolta delle firme che alla campagna di informazione affinché il cittadino sia reso un “cittadino consapevole”. Palo infatti si piazza tra i primi cinque posti nella classifica provinciale per il numero di firme raccolte, 1720, dato che fa emergere nettamente il contrasto che la popolazione palese attua nei confronti di una politica affaristica che punta a trarre profitto da una risorsa che è imprescindibile dalla vita umana.
Accanto ai cittadini sono al lavoro le istituzioni: ci sono consigli comunali (vedi Altamura) che si adoperano per modificare i loro statuti e la Regione Puglia sta lottando attivamente contro questa mercificazione dell’acqua attuata dal governo Berlusconi. Tra gli ultimi atti della I giunta Vendola c’è l’approvazione del disegno di legge che istituisce l’azienda pubblica “Acquedotto Pugliese – Aqp” e stabilisce i principi fondamentali: ?lfacqaèè? un bene comune, di propriet? collettiva, essenziale e insostituibile per la vita, non assoggettabile a leggi di mercato, il cui approvvigionamento deve essere difeso e garantito dalla Regione Puglia. (...) Il servizio idrico integrato ? privo di rilevanza economica e deve essere sottratto da ogni regola della concorrenza?. A Marzo la maggioranza alla regione ha concordato il testo definitivo con il Forum AcquaBeneComuneh, testo che speriamo venga portato in consiglio regionale il più presto possibile.
Il tutto è fatto per contrastare la politica dell’acqua come profitto messa in atto dall’attuale governo.
Mentre nello scenario internazionale si assiste a una graduale ri-pubblicizzazione del servizio di gestione del bene ACQUA - esempio calzante ne è la Francia, prima con Grenoble poi con Parigi, che hanno dapprima affidato la gestione ad una multinazionale per poi tornare al pubblico con la municipalizzata Eau de Paris - l’Italia opera in controtendenza ignorando il fallimento di una politica di privatizzazione che ha portato ad un incremento delle tariffe e a nessun miglioramento dei servizi. È forte però il dissenso che questa politica trova nella popolazione italiana che manifesta il malcontento chiedendo i referendum abrogativi del decreto Ronchi: in appena sei settimane il Forum Nazionale AcquaBeneComune contava quasi il milione di firme. A campagna conclusa le firme sono state 1.400.000.
La legge statale del novembre 2009 (decreto Ronchi), approvata dal Governo Berlusconi con l’ennesimo voto di fiducia, prevede la privatizzazione della gestione del servizio idrico integrato. Ciò avviene obbligando i Comuni che costituiscono una loro società di gestione del servizio idrico, a detenere non più del 40% del patrimonio sociale. La strada per il privato è quindi tutta in discesa e già dagli anni passati si è lavorato per spianare il percorso alla privatizzazione. Nel 1999, infatti, l’Aqp da Ente Autonomo viene trasformata in società per Azioni, con capitale detenuto interamente dal Ministero del Tesoro. L’Aqp diventa un soggetto giuridico sottoposto alle norme del diritto privato e quindi a logiche di profitto, ben lontano però da un regime di concorrenza dato che la fonte di approvvigionamento rimane unica. Nel 2002 la legge finanziaria trasferisce le azioni dal Ministero del Tesoro alla Regione Puglia (87%) e alla Regione Basilicata (13%). Con queste modalità la strada alla privatizzazione della società è completamente spianata obbligando le due Regioni a dismettere entro 6 mesi le medesime azioni. Allora il governo regionale guidato da Fitto derogò alla legge del governo e non dismise mai le partecipazioni, preferendo gestire personalmente il miliardo di Euro proveniente da Roma.
Nel 2006 si torna a calcare la mano sulle modalità di gestione del servizio e con il cosiddetto Codice dell’ambiente si permette ai privati di entrare nel merito della gestione attraverso società a partecipazione mista. I Comuni, infatti, pressati dalla carenza di entrate (vedi soppressione dell’ICI) sono sempre più spinti a cedere quote di partecipazione ai privati che operano all’interno degli Ato (ambito territoriale ottimale) di competenza. La legge poi prevede “l’adeguatezza della remunerazione del capitale investito”, ossia un adeguato flusso di introiti che compensi il rischio dell’investimento, evidenziando così a chiare lettere il valore commerciale del bene.


P.fotoridimensionata

 

acqua 1024

 

I TRE QUESITI

 

1° QUESITO: Si chiede di bloccare la privatizzazione dell’acqua, obbligatoria in tutta Italia da dicembre 2011. Da quella data, infatti, per legge la gestione del servizio idrico sarà ovunque affidata a soggetti privati o a società a capitale misto pubblico-privato (in cui la quota privata dovrà arrivare in breve al 70%). Le società a capitale interamente pubblico dovranno diventare almeno miste.

2° QUESITO: si chiede che la gestione dell’acqua torni ad essere pubblica (ripubblicizzazione). La gestione dei servizi idrici in tal caso spetterà ad enti di diritto pubblico con la partecipazione dei cittadini e delle comunità locali, e non più a società di capitali.

3° QUESITO: Con questo quesito si intende negare al gestore – chiunque egli sia – il 7% di profitto garantito e intascato come ricarico sulla bolletta di ciascun cittadino. Tale somma oggi viene percepita a titolo di remunerazione del capitale investito ed è svincolata da reinvestimenti e miglioramenti qualitativi del servizio.

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